Corso di estetica della musica a.s.2011 Prof.Andrea Clemente Potami

Poetiche dell'avanguardia

Il serialismo integrale

Per dodici lunghi anni, dal 1933 al 1945, la Germania era stata musicalmente tagliata fuori dal mondo, poiché il regime nazista aveva costretto all' emigrazione tutti i maggiori compositori (Schonberg, Hindemith, i 'brechtiani' Weill, Dessau e Eisler, oltre a Brecht stesso)'. Sulla via dell'esilio si erano incamminati, ovviamente, anche molti altri intellettuali, per lo più di origine ebraica: ad esempio, il musicologo Curt Sachs, il filosofo della musica Theodor W. Adorno, il musicologo Alfred Einstein (senza parlare del suo ben più noto cugino, il fisico Albert Einstein). Questo massiccio flusso migratorio si era diretto soprattutto verso gli Stati Uniti, arricchendo di stimoli insostituibili tale nazione ancora molto giovane.
Terminata la bufera della guerra, i giovani compositori tedeschi sentirono dunque il bisogno di aggiornarsi su ciò che era avvenuto nel frattempo, ripopolando il loro mondo musicale ridotto a macerie come le città bombardate. Per iniziativa del musicologo e critico Wolfgang Steinecke, dal 1946 in poi si organizzarono nella città tedesca di Darmstadt gli lntemationale Ferienkurse fur Neue Musik, ovvero Corsi estivi internazionali per la nuova musica. Essi non consistevano soltanto in corsi di composizione e di interpretazione, giacché la principale finalità perseguita nei primi anni fu l'esecuzione di musiche ancora mai ascoltate in Germania: in particolare le composizioni americane di Stravinskij, Bartok, Hindemith e soprattutto quelle di Schonberg, autore ancora in quegli anni molto trascurato dalle istituzioni ufficiali. Col passare del tempo la notorietà musicale della cittadina tedesca crebbe, attirando musicisti anche dall'estero. Intorno al 1953 il processo di aggiornamento poté dirsi compiuto, e il baricentro si spostò dalla musica del recente passato agli scottanti problemi della musica del presente.
Uno degli elementi catalizzatori di questo processo fu proprio un concerto retrospettivo del 1953, interamente dedicato a musiche di Anton Webern; prima di allora, quasi nulla si era ascoltato di questo autore, sebbene se ne comincias3 se a conoscere la tecnica compositiva . Grazie anche a questo concerto, la figura di Webern balzò alla ribalta in tutta la sua modernità: pur avendo scritto pochissime composizioni dodecafoniche (e pochissime composizioni in assoluto), egli divenne un punto di riferimento imprescindibile per quasi tutti i giovani compositori degli anni '50, molti dei quali vennero di conseguenza detti post-weberniani. Di Webern interessava non tanto l'aforisticità - strada su cui nessuno ebbe il coraggio di incamminarsi - quanto l'estremo rigore costruttivo e il valore conferito al suono singolo, relativamente autonomo rispetto agli altri e le cui caratteristiche (altezza, durata, intensità, timbro) fossero accuratamente specificate.
Un altro' avvenimento che segnò una pietra miliare per le avanguardie musicali fu una composizione del francese Olivier Messiaen (1908-92), scritta proprio a Darmstadt nel 1949: Mode de valeurs et d'intensités (Modo di valori e di intensità) per pianoforte. Fin dal 1928 Messiaen aveva elaborato un suo linguaggio musicale imperniato sui modi (nel senso di scale musicali), desunti dall' antica modalità ecclesiastica, dalla mUSICa orientale o creati da lui stesso. Nel Mode de valeurs et d'intensités  Messiaen cercò di applicare le sue ricerche sui modi anche ai valori musicali e alle intensità: non per niente questa composizione fa parte di una raccolta di studi sul ritmo. Egli compilò un modo in cui erano indissolubilmente uniti tutti i parametri del suono: ogni nota era fornita di una durata, una dinamica e un tipo di attacco di sua esclusiva pertinenza.  Esplorata questa possibilità, Messiaen non vi indugiò più di tanto, tornando a scrivere composizioni di altro genere5• Ma il suo Mode aveva gettato un seme che non tardò a germogliare: due giovani compositori, il francese Pierre Boulez (n. 1925) e il tedesco Karlheinz Stockhausen (n. 1928), ne rimasero profondamente colpito. Fondendo questa esperienza di Messiaen con il magistero di Webern, nell'anno 1951 entrambi si incamminarono verso quella che si definisce serialità integrale: Boulez con Poliphonie X (Polifonia X) per 18 strumenti e Stockhausen con Kreuzspiel (Gioco incrociato)  per sei esecutori. La serialità integrale consiste nell' applicazione rigorosa del criterio seriale anche agli altri parametri del suono (in primo luogo alla durata delle note) e non solo alle altezze, come invece si limitava a fare la dodecafonia classica. Dunque, se la dodecafonia aveva cancellato almeno nelle intenzioni - qualsiasi traccia del sistema tonale, la serialità integrale finiva di radere al suolo ciò che era rimasto della discorsività musicale tradizionale, atomizzando la musica in singoli 'punti' (da cui 'puntillismo') isolati nel tempo e nello spazio sonoro.
Ma la serialità integrale, spezzando tutti i nessi tradizionali, rispondeva anche a un' esigenza di carattere più generale. Così come Europa intera cercava di scrollarsi di dosso i ricordi del recente incubo, anche i musicisti sentivano il bisogno di ripartire da zero: era necessario tagliare tutti i ponti con il passato, impiantare la musica su basi totalmente diverse da quelle del soggettivismo romantico, come se mai nulla fosse stato composto. E se negli anni '20 (un altro dopoguerra ... ) Satie e Stravinskij cercavano di reagire con l'arma dell'ironia ai tentacoli ancora protesi del Romanticismo, negli anni '50 tale operazione divenne spasmodicamente seria.
 L'operazione più radicale in questa direzione fu compiuta da Pierre Boulez con Structures I per due pianoforti (Strutture I, 1952). Come sarà spiegato nell'Approfondimento, la prima delle tre parti di Structures I vuole raggiungere proprio il 'grado zero' della composizione, annullando del tutto non solo la soggettività emotiva dell'autore, ma anche - per ciò che è possibile - il suo stesso agire compositivo: dati alcuni elementi di partenza (e anche questi non di sua creazione, ma estratti dal Mode di Messiaen), Boulez ne trae una rigidissima griglia numerica che gli impone pressoché tutte le scelte compositive. Il risultato è emotivamente raggelante: poiché tutto è serializzato (altezze, intensità, dinamiche, tipi di attacco),  e quindi nulla può ripetersi finché la serie a cui appartiene non è interamente trascorsa, l'orecchio e la memoria non hanno più niente a cui aggrapparsi, e 1'ascoltatore galleggia in balìa di eventi sonori completamente imprevedibili. Ma contemporaneamente si tratta del massimo ascetismo possibile: il compositore si annulla, rinuncia al suo 'io' creatore per consegnarsi alla spietata razionalità del numero. Con questa composizione Boulez raggiunge ciò che egli stesso definisce, lo si vedrà nell'Approfondimento, i «limiti della terra fertile»: più in là di così non si può andare. E già dalla seconda e dalla terza parte delle stesse Structures I, il musicista francese inizia a ricostruire una discorsività 'umana'; ora sente di poterlo fare proprio perché nella prima parte ha tagliato ogni ponte dietro di sé.
 Ovviamente non aveva alcun senso ripetere ancora questo temerario esperimento: gli altri compositori, come del resto lo stesso Boulez, limitarono la loro serialità integrale essenzialmente al trattamento delle altezze e delle durate, lasciandosi liberi di gestire a proprio arbitrio le altre caratteristiche sonore .
Le composizioni di questo periodo, che fu detto strutturalismo, rappresentano anche per gli esecutori un compito estremamente arduo: calcoli ritmici estremamente intricati, salti di estensione estremi, totale controllo del timbro di ogni singola nota e così via.


Musica aleatoria
 Ma lo strutturalismo non fu affatto l'unica corrente nella musica di quel periodo. Nello stesso anno 1951 che vide Poliphonie X e Kreuzspiel, sulla costa americana del Pacifico un compositore statunitense, John Cage (1912-92), aveva scritto qualcosa di veramente insolito.
 Fin dal 1938 questo musicista si era fatto notare per aver usato il cosiddetto 'pianoforte preparato' in una composizione dal titolo Bacchanale, seguita poi da numerose altre . La 'preparazione' del pianoforte consisteva nell'inserire in determinati punti tra una corda e l'altra vari oggetti (viti, bulloni, pezzi di gomma, di plastica e così via; tutto accuratamente specificato da apposite istruzioni), di modo che il timbro del pianoforte ne risultasse profondamente modificato: qualcosa di molto simile alle orchestre orientali di metallofoni. L'uso del pianoforte preparato, a metà fra una raffinatissima ricerca timbrica e una volontà dissacratoria nei confronti dello strumento romantico per eccellenza, non fu che la prima delle 'invenzioni' di Cage .
 Cage era al corrente del tentativo di Boulez di comporre una musica in cui tutti i parametri fossero razionalmente predeterminati; ma lo giudicò un tentativo velleitario. L'applicazione integrale della serialità dava infatti come risultato previsto e ricercato una musica senza alcun filo logico percepibile: una composizione che sembrava realizzata con note messe lì a caso. Tanto valeva, concluse provocatoriamente, usare il caso per davvero.
 E così fece nel suo Music or Changes (Musica di mutamenti, 1951), una lunga 'composizione per pianoforte divisa in quattro quaderni. Tutto - o quasi - ciò che vi accade (altezze, intensità, dinamiche, andamenti,' sovrapposizioni degli eventi fra di loro) venne deciso da Cage mediante il lancio casuale di tre monetine, secondo la tecnica divinatoria cinese detta I-Ching, l'antichissimo Libro dei mutamenti, da cui il titolo Musica di di mutamenti  di questa composizione
Lo stesso procedimento fu da lui adottato per un' altra composizione dello stesso anno, lmaginary Landscape No.4  per 12 apparecchi radio e 24 esecutori (due per ciascuna radio: uno ne regola la sintonia, l'altro il volume); in questo caso, alla casualità con cui è stata scritta la pur dettagliata partitura si somma la casualità della programmazione radiofonica al momento dell'esecuzione. L'utilizzazione del caso nel processo compositivo e o esecutivo viene chiamata alea (dal latino alea, 'dado'); la musica così ottenuta assume il nome di musica aleatoria .
L'irruzione dell'alea comportava la rescissione di ponti ancora più lunghi rispetto a quelli tagliati dalla scuola di Darmstadt: erano addirittura la razionalità e la creatività umana a essere poste in discussione. Cage proseguì ancora su questa linea, che trovava in assonanza con gli studi appena compiuti alla Columbia University sulle filosofie orientali e sul buddismo zen, ripensando addirittura il concetto stesso di ciò che è musica e ciò che non lo è. Secondo la concezione cageana di ascendenza orientale, l'uomo non deve tendere a modificare l'ambiente circostante, ma deve adattare se stesso a ciò che lo circonda: natura, oggetti o persone che siano. Quindi l'ideale non è la figura di un compositore che, novello homo faber, costruisce rigorose forme musicali: la forma deve invece crearsi di volta in volta all'interno di ciascun ascoltatore, a seconda delle modalità della sua percezione.
 La composizione che rappresenta la quintessenza di questo atteggiamento (siamo di nuovo ai limiti della terra fertile) è il celebre 4'33" del 1952 per qualsiasi strumento o strumenti.
Un'unica cosa è scritta sulla 'partitura': tacet. Chi esegue 4'33" deve limitarsi a presentarsi al pubblico e a non suonare, per la durata esatta dei quattro minuti e trentatré secondi indicati dal titolo. Qyesta provocatoria composizione non ha solo una valenza negativa (io, il compositore, non posso più comunicare niente a te, ascoltatore; e anche se lo potessi, tu non saresti più in grado di comprendermi), ma vuole soprattutto stimolare ad un attivo ascolto del silenzio. Il silenzio, nella visione di Cage, non è un non-suono. Esso è pieno di musica, fatta dai rumori interni ed esterni all' ascoltatore stesso e alla sala da concerto, dai mormorii esterrefatti o dalle proteste del pubblico (da Cage previste e accettate): noi viviamo sempre all'interno di una sfera sonora, che bisogna imparare a percepire16.
Dalla fine degli anni '50 le sue composizioni hanno inglobato l'alea non solo nel momento compositivo ma anche in quello esecutivo, affidandosi a quella che chiamava 'indeterminatezza umana' e realizzando quella che è stata detta forma aperta. Ad esempio, nel Concerto per pianoforte e orchestra (1958) non vi è partitura ma solo singole parti, composte sempre con metodi aleatori; gli esecutori - di numero e strumenti variabili - decidono da sé quali parti suonare, per quanto tempo, in quali raggruppamenti (un unico solista, un gruppo da camera, l'orchestra sinfonica, pianoforte e orchestra, ecc.), mentre il direttore funge solo da orologio che segna lo scorrere del tempo .
Questo tipo di composizioni si può far già rientrare nel concetto di happening. L' happening (lett.: 'avvenimento') divenne la cifra caratteristica della produzione di Cage dagli anni '60 in poi. Il termine si potrebbe anche tradurre con 'evento': eventi in cui l'autore si limita a suggerire agli esecutori - sempre variabili - cosa devono suonare o fare (ad esempio nella serie delle Variations I-IV, [Variazioni I-lVI, 1958-63), giacché, come egli sosteneva, tutto ciò che facciamo è musica. Anche il gesto entra a far parte della musica, come pure le azioni o reazioni del pubblico, che è chiamato spesso ad un ruolo attivo. In molti casi l'autore si limita ad offrire vasti ambienti fittamente popolati di musicisti che suonano le musiche più disparate: sta agli spettatori muoversi liberamente nello spazio e determinare da sé le proprie modalità di ascolto. 

Musica elettroacustica
Oltre alla strada atonalità-dodecafonia-serialità, attraversata ed accavallata più volte dalla via dell' aletorietà, una terza strada - più tortuosa - si snodava nella musica occidentale da vario tempo. Essa conduceva non solo fuori dal sistema tonale, ma addirittura da quello temperato.
Da quando il canto detto gregoriano aveva fatto sparire i microtoni quasi sicuramente presenti nel canto vetero-romano, la musica occidentale si era basata su una divisione dell' ottava scandita solamente in dodici semitoni; e per quanto il temperamento di questi dodici suoni (cioè l'ampiezza precisa di ogni singolo intervallo) avesse subìto notevoli cambiamenti con il passare dei secoli, tale divisione dell' ottava era rimasta inalterata. Alcuni tentativi di introdurre ordini di grandezza del tutto differenti c'erano stati, ma non avevano riscosso molto successo: citiamo il teorico cinquecentesco Nicola Vicentino, che voleva riesumare il genere enarmonico greco con i suoi quarti di tono, e il compositore novecentesco Ferruccio Busoni, che ipotizzava l'avvento dei terzi e sesti di tono.
Una via più feconda passò attraverso la 'nobilitazione' del rumore. Si può dire che fino all'Ottocento il suono ad altezza indeterminata (definito comunemente e non del tutto correttamente rumore) era bandito dalla musica d'arte, poiché l'unico strumento a percussione ivi comunemente accettato consisteva nei timpani (che, come si sa, emettono una nota ben pre cisa)l. Nel corso dell'Ottocento la sezione orchestrale delle percussioni si fece sempre più nutrita, ampliandosi a comprendere molti strumenti ad altezza indeterminata.
Una decisa rivalutazione del rumore avvenne con il Futurismo italiano, negli anni '10-'20 del Novecento. Il Manifesto tecnico della musica futurista, scritto nel 1911 dal compositore romagnolo Francesco Balilla Pratella (1880-1955) -
non senza l'influenza del fondatore del movimento, Filippo Tommaso Marinetti - si pronunciava in favore di una musica atonale e auspicava anche la realizzazione del modo enarmonico, con «le minime suddivisioni del tono»».Più in là si spingeva un altro futurista, il pittore Luigi Russolo, che nello scritto L'arte dei rumori. Manifesto fùturista (1913) propugnava la creazione del «rumore musicale»»,del «suono-rumore»». Il rumore era esaltato come quintessenza della modernità, come energica espressione della macchina e della guerra (notoriamente considerate dai futuristi come valori positivi). Russolo costruì anche appositi strumenti detti intonarumori, al fine di poter esercitare un controllo musicale sull'emissione dei vari tipi di rumore ma il suo «Grande concerto futurista d'intonarumori»» in un teatro milanese (1914) finì in tafferugli con il pubblico scandalizzato. Purtroppo il Futurismo non poteva vantare alcuna figura musicale di qualche rilievo: i compositori futuristi si limitarono
a 'guarnire' con rumori una musica assolutamente banale. Gli intonarumori stessi, seppure conosciuti da compositori del calibro di Stravinskij, Prokofiev, Ravel, Milhaud e Honegger, non furono presi in considerazione da nessuno di costoro.
“Perché i Futuristi italiani imitano pedissequamente solo gli aspetti più banali e ovvi delle attività della nostra vita quotidiana? Dal canto mio, sogno degli strumenti docili al pensiero che, rendendo possibili timbri finora insospettati, si aprano a qualsiasi combinazione io proponga loro e soddisfino le richieste che provengono dal mio ritmo interiore”. Questa opinione, che auspicava in pratica la nascita della musica elettronica, fu espressa nel 1917 da un compositore francese che si era appena trasferito negli Stati Uniti, Edgard Varèse (1883-1965)
 Nella sua ricerca di nuove sonorità con cui creare un diverso tipo di musica (ricerca di chiare origini debussyane), Varèse si avvalse inizialmente degli strumenti a percussione, ancora non troppo contaminati da suggestioni del passato ed estremamente ricchi di possibilità timbriche: ecco allora venti percussioni in Amériques (Americhe, 1922) per grande orchestra, sedici in Hyperprism (Iperprisma, 1923) e diciassette in Intégrales (Integrali, 1925), entrambi per fiati e percussioni, fino a giungere allo stupefacente Ionisation (Ionizzazione, 1931), interamente affidato a tredici percussionistt. A partire dalla composizione successiva, Ecuatorial (Equatoriale, 1934), Varèse affiancò alla voce di basso che intona antichi testi sacri maya e agli strumentisti (quattro trombe, quattro tromboni, pianoforte, organo, percussioni) anche due Thereminvox. Le onde sonore prodotte da tale strumento elettronico, appena inventato dallo scienziato russo Lev Theremin, non erano però soddisfacenti:nella rielaborazione della partitura del 1961 egli le sostituì con un altro strumento elettronico, le onde martenot.
Nel 1958,  fu commissionato al celebre architetto Le Corbusier il padiglione Philips per l'Esposizione Universale di Bruxelles . Le Corbusier affidò all' architetto-compositore lannis Xenakis la realizzazione pratica del progetto, e richiese a Varèse un Poème Electronique (Poema elettronico) per nastro magnetico: quasi una serie di diapositive sonore da far ascoltare all'interno del padiglione mentre sarebbero state proiettate luci e diapositive scelte dallo stesso Le Corbusie.
Il nastro magnetico si avviava dunque a diventare uno dei protagonisti della musica del Novecento. Ma cosa vi veniva registrato? Le possibilità erano essenzialmente due, anche se - è naturale - l'una non escludeva l'altra.
Si potevano registrare suoni o rumori concreti (acqua che scorre, fischi di locomotive, palline che rimbalzano, voci umane, suoni strumentali e così via all'infinito/6, lavorando poi liberamente sui nastri risultanti: i suoni potevano venire distorti, accelerati, ritardati, sovrapposti variamente l'uno all' altro, mandati al contrario (come se si tornasse indietro nel tempo: dal suono ormai estinto alla sua graduale ricostituzione, fino alla brusca interruzione corrispondente al momento dell'attacco), ecc. Qyesto indirizzo, detto musica concreta, fu praticato soprattutto a Parigi, dove nel 1951 fu fondato con i finanziamenti della Radio francese il Groupe de Rechèrches de Musique Concrète (Gruppo di Ricerche di Musica Concreta); figura di riferimento era il pioniere della musica concreta in Francia, l'ingegnere e compositore Pierre Schaeffer (1910-95) che già da alcuni anni conduceva esperimenti in proposito.
L'altra possibilità consisteva nel cercare di ottenere suoni di tipo completamente sintetico, intervenendo proprio sulle componenti di base dell' onda sonora per forgiare prodotti acustici del tutto diversi da quelli esistenti in natura.. A questa vera e propria musica elettronica ci si dedicò soprattutto in Germania, nello Studio fur elektronische Musik (Studio per la musica elettronica) di Colonia, fondato anch' esso nel fatidico 1951 dal compositore e critico Herbert Eimert (1897-1972). Tra gli esponenti di spicco dello Studio di Colonia ci fu Stockhausen il quale, dopo un iniziale approccio all' elettronica a Parigi nel 1952, collegò strettamente tale Studio con l'ambiente di Darmstadt: queste nuove tecnologie permettevano da una parte di estendere il controllo razionale del compositore fino alle matrici stesse del suono, e dall'altra di prolungare tale controllo fino al momento dell' esecuzione compreso, non più soggetto ai limiti e agli imprevisti di interpreti umani.