Rameau fu riconosciuto come il musicista dell'aristocrazia conservatrice, il portabandiera del gusto classico, il difensore dell'intera opera francese di fronte all'invadenza crescente del barbaro e popolare melodramma italiano. Ma la complessa personalità del musicista, parte in causa nelle polemiche correnti prima tra buffonisti e lullisti, e poi tra buffonìsti e antibuffonisti, non si esaurisce qui. La sua opera di teorico non si inserisce direttamente nelle dispute tra difensori del gusto italiano e francese e costituisce un po' un capitolo a parte nella storia dell'estetica musicale del Settecento. Rameau non è stato un rivoluzionario come musicista, e non intendeva esserlo nemmeno come filosofo e teorico della musica. Comunque il significato delle sue teorie sull'armonia va forse al di là delle sue intenzioni. La cultura del tempo aveva posto una rigida barriera tra arte e ragione, tra sentimento e verità, tra piacere dell'udito e imitazione razionale della natura; si trattava di due regni ben distinti, senza possibilità d'intesa tra l'uno e l'altro, all'infuori di un estrinseco avvicinamento. Rameau non aveva profonda cultura filosofica ed ancor meno letteraria e affrontò quindi il problema della musica da un altro punto di vista, cioè sotto il profilo fisico-matematico. Questo approccio scientifico alla musica ha illustri precedenti e presuppone l'inserimento in una ben determinata corrente di pensiero. Già Pitagora riteneva che la musica fosse il simbolo o espressione di un'armonia superiore che si esplicava per mezzo di proporzioni numeriche per cui la musica stessa poteva ridursi a numeri. Questa antichissima dottrina è rimasta viva nei secoli: nei trattati dei teorici medievali, nel rinascimento con il pensiero di Zarlino e poi nei trattati di Cartesio, Mersenne, Eulero ed infine Rameau. I filosofi del Seicento e del Settecento avevano considerato la musica come un'arte minore o addirittura come un «innocente lusso» per il suo carattere «capriccioso» e per la sua intrinseca mancanza di razionalità, ed è proprio contro costoro che Rameau quasi inconsapevolmente combatte la sua battaglia. Se la musica nei suoi fondamenti può essere ridotta a scienza, se può essere razionalizzata nei suoi principi, se può rivelare nella sua essenza un ordine naturale eterno e immutabile, non potrà più essere considerata solo un piacere dei sensi estranea al nostro intelletto e alla nostra razionalità. «Il mio fine è di restituire alla ragione i diritti che essa ha perduto nel campo musicale», afferma Rameau. Non interessa qui esaminare dettagliatamente tutte le sue teorie sull'armonia; sarà sufficiente mettere in luce lo spirito informatore di queste ricerche condotte con viva passione per tutta la vita. Il musicista francese, mosso in tutti i suoi studi da un'esigenza unitaria da uno spirito fortemente razionalista di stampo cartesiano, inizia a scrivere il suo primo trattato animato da una convinzione saldissima che non lo abbandonerà mai: l'armonia si fonda su di un principio naturale e originario e quindi razionale ed eterno. «La musica è una scienza che deve avere delle regole stabilite, queste regole devono derivare da un principio evidente, e questo principio non può rivelarsi senza l'aiuto della matematica». E noto che secondo Rameau questo principio è contenuto in qualsiasi corpo sonoro che vibrando produce l'accordo perfetto maggiore che è dato in natura nel quarto quinto e sesto armonico, e da cui deriverebbero tutti gli altri accordi possibili. Solo la triade minore non è riducibile alla triade maggiore e dal momento che nel suo sistema non devono esistere eccezioni - in natura non si danno eccezioni - Rameau si trae dall'imbarazzo con l'artificiosa spiegazione degli armonici inferiori; comunque solo il modo maggiore avrebbe pieno diritto di cittadinanza nel mondo dell'armonia e il modo minore sarebbe una varietà strana, imperfetta, organizzata e determinata a sua volta dal maggiore. Tutta la ricchezza della musica e le sue infinite possibilità espressive derivano da questo unico principio e si fondano sulla proprietà del « corps sonore » di contenere già in se stesso, nei suoi armonici, l'accordo perfetto. «Come è meraviglioso questo principio nella sua semplicità! - esclama con mistico entusiasmo Rameau nel suo Trattato dell'armonia. Tanti accordi, tante belle melodie, questa infinita varietà, queste espressioni cosi belle e cosi giuste, sentimenti resi con tanta evidenza, tutto deriva da due o tré intervalli, disposti per terze, il cui principio è contenuto in un solo suono! » Questa concezione rigidamente razionalistica cui Rameau è rimasto fedele in tutti i suoi numerosissimi scritti teorici e polemici e che nelle ultime opere si colora di venature mistiche e religiose, non esclude i diritti dell'orecchio come non esclude una relazione fra musica e sentimento. La musica ci piace, proviamo piacere ad udirla proprio perché essa esprime attraverso l'armonia il divino ordine universale, la natura stessa. Anche Rameau ci parla di imitazione della natura ma per natura intende un sistema di leggi matematiche e non i quadri idillici e pastorali cui si riferivano generalmente i filosofi del tempo. Rameau con la sua austera e rigorosa concezione della natura si ricollega non all'estetica contemporanea, ma piuttosto al meccanicismo proprio della concezione newtoniana del mondo. Un concetto fondamentale sta alla base del pensiero di Rameau: tra ragione e sentimento, tra intelletto e sensibilità, tra natura e legge matematica non c'è nessun contrasto, ma esiste di fatto e soprattutto di diritto un perfetto accordo: questi elementi devono quindi armonicamente cooperare. La musica non è sufficiente sentirla ma bisogna anche renderla intelligibile nelle leggi eterne che reggono la sua costruzione; tuttavia la ragione ha autorità soltanto nella misura in cui non contrasta con l'esperienza e l'udito. Rameau supera cosi le posizioni dei suoi contemporanei e si pone idealmente fuori dalle polemiche in cui suo malgrado si trova immerso. Infatti non sente alcuna esigenza di prendere posizione a favore della musica italiana o francese: la musica è anzitutto razionalità pura ed è quindi per sua natura il linguaggio più universale; «vi sono teste egualmente bene organizzate in tutte le nazioni dove regna la musica» ed è assurdo voler pretendere che «una nazione possa essere più favorita di un'altra». Le differenze tra una nazione e l'altra riguardano essenzialmente la melodia la quale ha a che fare soprattutto con il gusto. La priorità dell'armonia sulla melodia nel pensiero di Rameau è ideale e si fonda sul fatto che non si possono fornire «regole certe» per la melodia anche se quest'ultima non ha meno forza espressiva. L'armonia rappresenta il primum ideale da cui derivano tutte le altre qualità della musica, compreso il ritmo stesso.
Armonia e melodia diventeranno d'ora innanzi i cavalli di battaglia degli animatori delle nuove dispute sulla musica, simboli di gusti diversi, di poetiche diverse, dietro cui si trincereranno ancora una volta i difensori della tradizione classica francese da una parte e gli amatori del «bel canto» italiano dall'altra. Rameau fu preso nel giro di queste polemiche a cui non era interessato, e a cui avrebbe forse voluto rimanere estraneo anche per il suo carattere schivo e taciturno. La sua opera di teorico non fu capita dai suoi contemporanei e Rameau fu accusato di essere un arido intellettualista, di voler della musica una scienza, negando il valore della melodia. In realtà nessuno come Rameau nel suo tempo aveva saputo mettere in luce il potere espressivo del linguaggio musicale e la sua autonomia di fronte agli altri linguaggi artistici. Privilegiare l'armonia significava dare una priorità ai valori più essenziali della musica avviandosi ad un riconoscimento della musica strumentale o pura come l'hanno poi chiamata i romantici. Rameau anche come musicista ha mostrato di possedere una vena più felice per la musica strumentale che per quella vocale in cui poco si curava dei valori letterari del testo. Un suo biografo, il Decroix, riferisce che Rameau si sarebbe vantato di mettere in musica anche la «Gazette de Hollande», tanto era grande la sua indifferenza per il testo da musicare, puro pretesto per la sua costruzione musicale il cui intento descrittivo non assume mai un carattere impressionistico ma viene sempre contenuto in ben definiti schemi architettonici. Rameau pur partecipando della mentalità illuminista, rimane una figura isolata nel Settecento: la sua vita lo dimostra. Dopo gli anni del successo per le sue opere, dopo la prima ondata di interesse suscitato dai suoi trattati teorici, Rameau si trovò nella vecchiaia solo contro tutti. Dopo il significativo rifiuto dell'incarico di stendere le voci musicali dell'Enciclopedia, iniziano nel 1754 i dissensi con gli enciclopedisti e in particolare con Rousseau e D'Alembert che si protrarranno con fitto scambio di pamphlets polemici fino alla morte. Rameau e gli enciclopedisti parlano linguaggi diversi, non si possono comprendere, e si limitano cosi' a lanciarsi reciproche accuse d'incompetenza. Rameau isolato e incompreso nel suo secolo ha offerto tuttavia un'alternativa originale alla concezione illuministica della musica come innocente lusso e rimarrà un importante punto di riferimento per il pensiero romantico, preannunciando una nuova concezione della musica come linguaggio privilegiato, espressiva non solo delle emozioni e sentimenti individuali, ma della divina e razionale unità del mondo.
Rousseau
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