Corso di estetica della musica a.s.2011 Prof.Andrea Clemente Potami

martedì 8 febbraio 2011

Rameau e Rousseau

Rameau

Rameau fu riconosciuto come il musicista dell'aristocrazia conservatrice, il portabandiera del gusto classico, il difensore dell'intera opera francese di fronte all'invadenza crescente del barbaro e popolare melodramma italiano. Ma la complessa personalità del musicista, parte in causa nelle polemiche correnti prima tra buffonisti e lullisti, e poi tra buffonìsti e antibuffonisti, non si esaurisce qui. La sua opera di teorico non si inserisce direttamente nelle dispute tra difensori del gusto italiano e francese e costituisce un po' un capitolo a parte nella storia dell'estetica musicale del Settecento. Rameau non è stato un rivoluzionario come musicista, e non intendeva esserlo nemmeno come filosofo e teorico della musica. Comunque il significato delle sue teorie sull'armonia va forse al di là delle sue intenzioni. La cultura del tempo aveva posto una rigida barriera tra arte e ragione, tra sentimento e verità, tra piacere dell'udito e imitazione razionale della natura; si trattava di due regni ben distinti, senza possibilità d'intesa tra l'uno e l'altro, all'infuori di un estrinseco avvicinamento. Rameau non aveva profonda cultura filosofica ed ancor meno letteraria e affrontò quindi il problema della musica da un altro punto di vista, cioè sotto il profilo fisico-matematico. Questo approccio scientifico alla musica ha illustri precedenti e presuppone l'inserimento in una ben determinata corrente di pensiero. Già Pitagora riteneva che la musica fosse il simbolo o espressione di un'armonia superiore che si esplicava per mezzo di proporzioni numeriche per cui la musica stessa poteva ridursi a numeri. Questa antichissima dottrina è rimasta viva nei secoli: nei trattati dei teorici medievali, nel rinascimento con il pensiero di Zarlino e poi nei trattati di Cartesio, Mersenne, Eulero ed infine Rameau. I filosofi del Seicento e del Settecento avevano considerato la musica come un'arte minore o addirittura come un «innocente lusso» per il suo carattere «capriccioso» e per la sua intrinseca mancanza di razionalità, ed è proprio contro costoro che Rameau quasi inconsapevolmente combatte la sua battaglia. Se la musica nei suoi fondamenti può essere ridotta a scienza, se può essere razionalizzata nei suoi principi, se può rivelare nella sua essenza un ordine naturale eterno e immutabile, non potrà più essere considerata solo un piacere dei sensi estranea al nostro intelletto e alla nostra razionalità. «Il mio fine è di restituire alla ragione i diritti che essa ha perduto nel campo musicale», afferma Rameau. Non interessa qui esaminare dettagliatamente tutte le sue teorie sull'armonia; sarà sufficiente mettere in luce lo spirito informatore di queste ricerche condotte con viva passione per tutta la vita. Il musicista francese, mosso in tutti i suoi studi da un'esigenza unitaria da uno spirito fortemente razionalista di stampo cartesiano, inizia a scrivere il suo primo trattato animato da una convinzione saldissima che non lo abbandonerà mai: l'armonia si fonda su di un principio naturale e originario e quindi razionale ed eterno. «La musica è una scienza che deve avere delle regole stabilite, queste regole devono derivare da un principio evidente, e questo principio non può rivelarsi senza l'aiuto della matematica». E noto che secondo Rameau questo principio è contenuto in qualsiasi corpo sonoro che vibrando produce l'accordo perfetto maggiore che è dato in natura nel quarto quinto e sesto armonico, e da cui deriverebbero tutti gli altri accordi possibili. Solo la triade minore non è riducibile alla triade maggiore e dal momento che nel suo sistema non devono esistere eccezioni - in natura non si danno eccezioni - Rameau si trae dall'imbarazzo con l'artificiosa spiegazione degli armonici inferiori; comunque solo il modo maggiore avrebbe pieno diritto di cittadinanza nel mondo dell'armonia e il modo minore sarebbe una varietà strana, imperfetta, organizzata e determinata a sua volta dal maggiore. Tutta la ricchezza della musica e le sue infinite possibilità espressive derivano da questo unico principio e si fondano sulla proprietà del « corps sonore » di contenere già in se stesso, nei suoi armonici, l'accordo perfetto. «Come è meraviglioso questo principio nella sua semplicità! - esclama con mistico entusiasmo Rameau nel suo Trattato dell'armonia. Tanti accordi, tante belle melodie, questa infinita varietà, queste espressioni cosi belle e cosi giuste, sentimenti resi con tanta evidenza, tutto deriva da due o tré intervalli, disposti per terze, il cui principio è contenuto in un solo suono! » Questa concezione rigidamente razionalistica cui Rameau è rimasto fedele in tutti i suoi numerosissimi scritti teorici e polemici e che nelle ultime opere si colora di venature mistiche e religiose, non esclude i diritti dell'orecchio come non esclude una relazione fra musica e sentimento. La musica ci piace, proviamo piacere ad udirla proprio perché essa esprime attraverso l'armonia il divino ordine universale, la natura stessa. Anche Rameau ci parla di imitazione della natura ma per natura intende un sistema di leggi matematiche e non i quadri idillici e pastorali cui si riferivano generalmente i filosofi del tempo. Rameau con la sua austera e rigorosa concezione della natura si ricollega non all'estetica contemporanea, ma piuttosto al meccanicismo proprio della concezione newtoniana del mondo. Un concetto fondamentale sta alla base del pensiero di Rameau: tra ragione e sentimento, tra intelletto e sensibilità, tra natura e legge matematica non c'è nessun contrasto, ma esiste di fatto e soprattutto di diritto un perfetto accordo: questi elementi devono quindi armonicamente cooperare. La musica non è sufficiente sentirla ma bisogna anche renderla intelligibile nelle leggi eterne che reggono la sua costruzione; tuttavia la ragione ha autorità soltanto nella misura in cui non contrasta con l'esperienza e l'udito. Rameau supera cosi le posizioni dei suoi contemporanei e si pone idealmente fuori dalle polemiche in cui suo malgrado si trova immerso. Infatti non sente alcuna esigenza di prendere posizione a favore della musica italiana o francese: la musica è anzitutto razionalità pura ed è quindi per sua natura il linguaggio più universale; «vi sono teste egualmente bene organizzate in tutte le nazioni dove regna la musica» ed è assurdo voler pretendere che «una nazione possa essere più favorita di un'altra». Le differenze tra una nazione e l'altra riguardano essenzialmente la melodia la quale ha a che fare soprattutto con il gusto. La priorità dell'armonia sulla melodia nel pensiero di Rameau è ideale e si fonda sul fatto che non si possono fornire «regole certe» per la melodia anche se quest'ultima non ha meno forza espressiva. L'armonia rappresenta il primum ideale da cui derivano tutte le altre qualità della musica, compreso il ritmo stesso.

Armonia e melodia diventeranno d'ora innanzi i cavalli di battaglia degli animatori delle nuove dispute sulla musica, simboli di gusti diversi, di poetiche diverse, dietro cui si trincereranno ancora una volta i difensori della tradizione classica francese da una parte e gli amatori del «bel canto» italiano dall'altra. Rameau fu preso nel giro di queste polemiche a cui non era interessato, e a cui avrebbe forse voluto rimanere estraneo anche per il suo carattere schivo e taciturno. La sua opera di teorico non fu capita dai suoi contemporanei e Rameau fu accusato di essere un arido intellettualista, di voler della musica una scienza, negando il valore della melodia. In realtà nessuno come Rameau nel suo tempo aveva saputo mettere in luce il potere espressivo del linguaggio musicale e la sua autonomia di fronte agli altri linguaggi artistici. Privilegiare l'armonia significava dare una priorità ai valori più essenziali della musica avviandosi ad un riconoscimento della musica strumentale o pura come l'hanno poi chiamata i romantici. Rameau anche come musicista ha mostrato di possedere una vena più felice per la musica strumentale che per quella vocale in cui poco si curava dei valori letterari del testo. Un suo biografo, il Decroix, riferisce che Rameau si sarebbe vantato di mettere in musica anche la «Gazette de Hollande», tanto era grande la sua indifferenza per il testo da musicare, puro pretesto per la sua costruzione musicale il cui intento descrittivo non assume mai un carattere impressionistico ma viene sempre contenuto in ben definiti schemi architettonici. Rameau pur partecipando della mentalità illuminista, rimane una figura isolata nel Settecento: la sua vita lo dimostra. Dopo gli anni del successo per le sue opere, dopo la prima ondata di interesse suscitato dai suoi trattati teorici, Rameau si trovò nella vecchiaia solo contro tutti. Dopo il significativo rifiuto dell'incarico di stendere le voci musicali dell'Enciclopedia, iniziano nel 1754 i dissensi con gli enciclopedisti e in particolare con Rousseau e D'Alembert che si protrarranno con fitto scambio di pamphlets polemici fino alla morte. Rameau e gli enciclopedisti parlano linguaggi diversi, non si possono comprendere, e si limitano cosi' a lanciarsi reciproche accuse d'incompetenza. Rameau isolato e incompreso nel suo secolo ha offerto tuttavia un'alternativa originale alla concezione illuministica della musica come innocente lusso e rimarrà un importante punto di riferimento per il pensiero romantico, preannunciando una nuova concezione della musica come linguaggio privilegiato, espressiva non solo delle emozioni e sentimenti individuali, ma della divina e razionale unità del mondo.




 Rousseau

Rousseau è indubbiamente la personalità di maggior rilievo, il teorico più accreditato dei buffonisti; fu forse anche per la sua particolare competenza che gli fu affidata la stesura del nucleo più importante di voci musicali dell'Enciclopedia che più tardi formarono il corpo del suo Dictionnaire de musique. Nei gusti musicali Rousseau non mostra una grande originalità ne si discosta granchè dai suoi contemporanei: ama l'opera italiana per la sua melodiosità, semplicità spontaneità, freschezza, naturalezza; ama il canto come effusione del cuore; aborre la musica francese per il suo carattere artificioso, le sue astruserie armoniche, la sua mancanza di immediatezza e di naturalezza; aborre la musica strumentale, la polifonia, il contrappunto, in quanto insignificanti, irrazionali e contrari alla natura.La musica francese è diventata sinonimo di artifìcio intellettualistico e quella italiana di spontaneità melodica. L'originalità di Rousseau consiste nell'aver saputo sviluppare adeguatamente il concetto di musica come linguaggio dei sentimenti e di aver elaborato una teoria sull'origine del linguaggio che giustificasse e fondasse tale concetto. Per la prima volta la polemica sulla musica italiana e francese non è più solo una questione di gusto,di preferenza personale, ma trova nel pensiero di rousseau una giustificazione teorica e filosofica. Rousseau, si è già detto, non ama la musica strumentale e concepisce la musica solamente come canto; ma non perché la consideri come piacevole ornamento della poesia e prediliga i valori concettuali e razionali in essa espressi. Al contrario, Rousseau predilige il canto perché in esso la musica ritrova la sua natura originaria. In un mitico passato, quando l'uomo era allo stato di natura, musica e parola costituivano un nesso inscindibile e l'uomo poteva esprimere nel modo più completo le sue passioni e i suoi sentimenti. In altre parole all'origine le lingue erano musicalmente accentuate e fu un triste effetto della civiltà se oggi ritroviamo da una parte le lingue private della loro melodiosità originaria e ormai atte solo ad esprimere dei ragionamenti; dall'altra i suoni musicali che un tempo costituivano l'accento del linguaggio e ne rappresentavano il lievito vitale, isolati ed impoveriti nella loro portata espressiva. Il canto melodico ricostituisce questa unità infatti in origine «non ci fu altra musica che la melodia, ne altra melodia che il suono modulato della parola; gli accenti formavano il canto e si parlava sia per mezzo dei suoni che del ritmo che delle articolazioni e delle voci» (Essai sur l'origine des langues, XII). Tuttavia questa riconciliazione, questa ricostituzione dell'unità spezzata può avvenire solamente se il linguaggio non ha perduto completamente la sua originaria musicalità. Le lingue nordiche (francese, inglese, tedesco) sono precise, esatte, dure e articolate, parlano alla ragione ma non al cuore e si prestano ad essere scritte e lette. Le lingue orientali e meridionali (arabo, persiano e soprattutto l'italiano) sono molli, musicali, sonore e si prestano ad essere parlate e udite; L'unione di musica e poesia per Rousseau significa un potenziamento espressivo dell'una e dell'altra, significa ritrovare quell'arte che, per la sua espressività, può più compiutamente realizzare l'imitazione delle passioni e dei sentimenti. Se la musica deve ritrovare la sua condizione originaria come accento delle parole, la sua essenza sarà la successione temporale, cioè la melodia. L'armonia, ossia la contemporaneità dei suoni rappresenta una deviazione, una corruzione, un atto arbitrario, «un'invenzione gotica e barbara» che corrompe la vera essenza della musica. Rousseau, senza troppo sottilizzare, identifica armonia, polifonia, contrappunto, fuga, ecc. ponendo tutto nello stesso calderone, e non si stanca di ripetere che si tratta di un'invenzione, di una cattiva invenzione, di un fatto storico e non naturale, frutto quindi di una convenzione sociale. L'armonia non offre che una «bellezza convenzionale» che non ci toccherà però mai nel profondo del cuore; essa ci procurerà un diletto superficiale e passeggero ma non susciterà mai alcuna passione. L'armonia infine, e questa è la sua deficienza più grave, non imita la natura, la quale «ispira dei canti e non degli accordi, detta melodie non armonie». Essa è inerte perché non ha nulla in comune con le nostre passioni; al più può assolvere ad una funzione secondaria se concorre a precisare e mettere in evidenza la linea melodica. Anche Rousseau si serve dunque del concetto di imitazione della natura come strumento critico e categoria estetica ma lo usa secondo un nuovo significato. Natura è sinonimo di passione, sentimento, immediatezza ed è nettamente e polemicamente contrapposta a ragione. Il concetto di imitazione è usato in modo più ambiguo. La melodia, afferma Rousseau imita «le inflessioni della voce, esprime i lamenti, i gridi di dolore o di gioia, le minacce, i gemiti... Essa non imita solamente, essa parla; e il suo linguaggio inarticolato ma vivo, ardente, appassionato, possiede cento volte più di energia della parola stessa. Ecco donde nasce la forza dell'imitazione musicale, ecco donde attinge il potere che essa esercita sui cuori sensibili» (Essai sur l'origine des langues, XII). La melodia imita le passioni ma indirettamente; le imita in virtù di un'affinità originaria con la forma in cui si esprimono i nostri sentimenti; se imita oggetti del mondo naturale essa imita il sentimento che essi susciterebbero «nel cuore di chi li contempla». La melodia «non rappresenta direttamente le cose ma eccita nell'anima gli stessi sentimenti che si prova vedendo le stesse cose». La musica sarebbe allora un'arte di espressione e di imitazione; di qui l'ambiguità di questi due termini, usati a volte come sinonimi a volte quasi in opposizione. Rimane sempre il dubbio se secondo Rousseau la musica esprime i sentimenti o imiti l'espressione dei sentimenti. Questa ambiguità tuttavia è significativa: ormai la concezione della musica si è profondamente trasformata e il concetto di imitazione della natura viene ancora usato ma solo per inerzia; esso non si presta più a spiegare e giustificare le nuove idee che si stanno ormai sempre più largamente affermando. Se si confronta il pensiero di Rameau con quello di Rousseau è facile accorgersi che ci si trova di fronte a due diversi, anzi opposti tentativi di rivalutazione della musica. Rameau ha cercato il fondamento eterno, naturale della musica e l'ha individuato nel principio unitario che sta alla base dell'armonia; la musica incarnando con questo principio lo stesso verbo divino ha assunto il ruolo di arte privilegiata ed assoluta. Rousseau, lontano nello spirito da questo pitagorismo del musicista francese, ha rivalutato la musica rivalutando il sentimento e considerandola come il linguaggio che parla più da vicino al cuore dell'uomo. Secondo Rameau la musica rivela la ragione suprema che è una, uguale in tutti i tempi e per tutti i popoli e quindi universale; secondo Rousseau la musica esprime ed imita le infinite varietà e sfumature del cuore umano. Il carattere della melodia varia da popolo a popolo, da secolo a secolo. Per Rameau la musica è dotata di una comprensibilità universale perché tutti gli uomini sono partecipi della ragione; per Rousseau la comprensione della musica è un fatto storico e culturale: «ognuno - afferma - è toccato solamente dagli accenti che gli sono familiari», e la melodia varia a seconda delle lingue di ogni popolo. La regola ferrea di carattere matematico, che secondo Rameau fonda l'armonia e stabilisce la sua universalità e naturalità, per Rousseau rappresenta un artificio intellettualistico che allontana la musica dall'arte. La grande musica, la melodia, è frutto del genio, e il genio non osserva nessuna regola: il genio come la natura è sinonimo di libertà e di vitalità.

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